L’improvviso aggravarsi della crisi in Medio Oriente segna un nuovo passo avanti verso la guerra contro i prolet del mondo arabo e obbliga le forze militanti d’occidente a una visione chiara di quanto sta accadendo.


In Palestina/Israele è guerra. Nella mattina del 7 ottobre Hamas ha lanciato un attacco a sorpresa “su larga scala” (sempre ridotta rispetto alle rappresaglie israeliane) con migliaia di razzi, incursioni in territorio israeliano e sequestro di decine di ostaggi. È la risposta ai continui attacchi da parte dello Stato di Israele contro la comunità palestinese tra i quali: la minaccia della completa estromissione dei musulmani da Gerusalemme e della demolizione della moschea di Al Aqsa (terzo luogo sacro dell’islam), i continui arresti e i nuovi insediamenti di coloni nei territori palestinesi.

In molti, negli ambiti della sinistra, parlano di Resistenza Popolare Palestinese. Il termine ci sembra corretto: Resistenza perché in gioco è l’istanza di esistenza dello stato-nazione palestinese, popolare perché effettivamente di una lotta di popolo si tratta, di una mobilitazione cioè nella quale gli sfruttati e gli sfruttatori palestinesi sono messi insieme sotto la bandiera ideologica dello stato-nazione, una bandiera tenuta in prima fila da Hamas, organizzazione religiosamente integralista, rappresentante gli interessi dell’ala più radicale della borghesia islamica palestinese, propaggine del mini-imperialismo d’area Iraniano, non che, come recita il suo statuto, forza ferocemente anti-comunista, elemento politico che, alle nostre latitudini, assume solitamente l’aggettivo di “fascista”.

In ogni caso il conflitto israelo-palestinese ha dapprima incardinato i suoi eventi nel lungo confronto fra est e ovest, ai tempi della guerra fredda, con i riflessi del caso sugli altri attori regionali. Oggi in egual misura rispecchia lo scontro interimperialista che coinvolge le potenze grandi e piccole nell’ area. La liberazione del popolo palestinese si colloca sempre come copertura di altri ben più importanti (dal punto di vista imperialistico) interessi.

I problemi di un inquadramento internazionalista del conflitto in atto

  1. Dal punto di vista militare i fatti non possono che essere collocati nel più generale clima di guerra che sta montando nel mondo. Hamas è armato e finanziato in larga parte dall’Iran, potenza imperialista regionale storico nemico di Usa e Israele e con importanti legami economici, commerciali e militari con Cina e Russia. Un più esplicito coinvolgimento dell’Iran nel conflitto significherebbe un passo avanti della guerra imperialista nell’area. Oltretutto l’Iran potrebbe trovare in questo conflitto un motivo per rinsaldare lo spirito patriottico/religioso e smarcarsi dalle difficoltà di gestione interna legate ai movimenti di protesta di importanti settori di lavoratori, a partire dal settore energetico, e legati alla questione femminile che – detto per inciso – coinvolge sopratutto le proletarie iraniane, visto che le donne borghesi, nei loro quartieri privilegiati godono di una libertà di molto maggiore.
  2. Dal punto di vista politico Hamas, come dicevamo, è una forza reazionaria e integralista che, con la forzatura dell’attacco a sorpresa mira ad ottenere alcuni risultati immediati: 1) obbligare le principali forze politiche palestinesi quali Al fath, ANP, OLP – quel che ne resta – e la Cis Giordania in generale ad accodarsi ad Hamas; 2) rafforzare l’asse Hamas-Hezbollah-Iran, magari trascinando Libano e Iran alla guerra aperta contro Israele; 3) a partire da Algeria, Giordania, Egitto, Marocco, etc. obbligare gli altri stati arabi a schierarsi in maniera più decisa di quanto avessero fatto in questi anni, nella prospettiva di dare al conflitto israelo/palestinese una dimensione internazionale che chiami all’azione di fatto gli altri stati arabi; 4) spezzare lo storico processo di avvicinamento tra Israele e Arabia Saudita sponsorizzato dagli USA. Questo significherà il venir meno delle promesse saudite di appoggi economici ufficiali all’ANP col beneplacito di Israele: l’ANP si indebolirebbe e Hamas accrescerebbe le proprie probabilità di aumentare la propria influenza in Cis-Giordania a discapito di Al fath. Stessa cosa la potrebbe ottenere mettendo di fatto in discussione gli accordi di Abramo del 2020 con Emirati Arabi e Bahrain e i più recenti tentativi di normalizzazione dei rapporti tra Israele, Marocco e Sudan; 5) auto-legittimarsi come unico rappresentante degli interessi palestinesi dinnanzi alla popolazione afflitta dall’intensificarsi dell’oppressione e dei soprusi israeliani e, come dicevamo, estendere la propria influenza in Cis-Giordania. Dal canto suo anche Israele, naturalmente, ha il suo tornaconto nella guerra, che già prevede lunga e difficile, che servirà a compattare un’opinione pubblica particolarmente divisa intorno alla riforma della giustizia recentemente promossa da Netanyahu. Quest’ultimo si ritroverà praticamente plenipotenziario e potrebbe così addirittura tentare l’invasione della striscia di Gaza con il pretesto di liberare gli ostaggi presi da Hamas, alzando per questa via il livello dello scontro in atto per parte israeliana.
  3. Dal punto di vista di classe Hamas punta a chiudere ogni spazio di possibile diffusione di una coscienza e organizzazione di classe nell’area. I lavoratori salariati israeliani sono per lo più arabi e i proletari arabi dei paesi circostanti (Libano, Siria, Giordania, Egitto) vivono una condizione sempre più grave stretti tra fame, disoccupazione, corruzione dei burocrati di stato, sfruttamento intensivo e crisi climatica. Lo spettro di un conflitto di classe aleggia da tempo nell’area: nella striscia di Gaza gli stipendi e il mantenimento della spesa statale sono possibili solo grazie ai finanziamenti del Qatar, il Libano è avvolto in una profonda crisi poltica ed economica dal 2019 anno del congelamento dei conti bancari e della svalutazione della moneta con picchi del 200%, qui vivono oltre 450mila rifugiati palestinesi suddivisi i 12 campi profughi, etc. Il veleno ideologico dell’Islam politico è l’antidoto che, dal punto di vista borghese, può allontanare gli sfruttati da un qualsiasi discorso di classe e coprire i misfatti delle corrotte e mafiose borghesie locali (a partire da quella palestinese) nell’illusione di una comunità di interessi in quanto popolo, contro l’oppressore israeliano. Anche da parte israeliana le possibilità di dissenso verranno ridotte al minimo e la guerra servirà per sviluppare, in entrambi i campi, ancora di più le politiche e le pratiche di sfruttamento, oppressione e controllo verso la classe lavoratrice dell’area.

Per un impostazione di classe del problema

Si tratta per tanto di partire dal 1) denunciare il regime israeliano responsabile di sofferenze e violenze senza fine a discapito della popolazione palestinese ma, al contempo, di 2) mettere in rilievo come Hamas e l’islam politico in generale non siano parte della soluzione ma del problema; 3) mettere in evidenza le responsabilità delle borghesie locali che, al di fuori della Palestina, si limitano a cercare il proprio tornaconto; 4) denunciare il ruolo reazionario di Hamas, Al fath e dell’ANP che, di fatto, proteggono il privilegio di una micro borghesia locale a discapito delle condizioni sempre più drammatiche in cui versano i prolet dell’area; 5) indicare nella necessità dell’unione dei prolet arabi l’unica prospettiva praticabile di lotta contro l’oppressione tanto di Israele quanto delle rispettive borghesie locali.

Se le poche avanguardie politiche locali hanno sicuramente enormi difficoltà a portare avanti questo tipo di ragionamenti, prese come sono tra l’incudine dell’Islam politico e il martello di Israele sta a noi militanti e prolet coscienti d’occidente sviluppare questi ragionamenti.

In questi termini può e deve esprimersi la solidarietà internazionalista verso i martoriati sfruttati Medio Orientali e di Palestina: attraverso la chiarificazione di una possibile prospettiva di liberazione che passi dalla difesa degli interessi di classe, dalla denuncia dei giochi imperialisti in via di sviluppo nell’area e dall’organizzazione della lotta intorno alla prospettiva rivoluzionaria del superamento delle catene dello sfruttamento e del capitalismo, contro le proprie borghesie, contro la guerra imperialista e contro ogni tipo di veleno ideologico religioso.


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