Monnezza capitalista


Spazzatura, ridefinizione del tessuto urbano, sfruttamento e controllo sociale. Un’introduzione

L’“estate romana”, lungi ormai dall’essere la spendibile kermesse dei tempi andati, in tempi più recenti ha finito per condensare in forma esasperata i tanti problemi legati alla gestione capitalista di una metropoli come Roma e alle sue ricadute sui quartieri prolet e sulla vita delle persone. L’atavica questione della spazzatura si è così incrociata da un lato con la proposta di un nuovo termovalorizzatore, dall’altro con i piani di allargamento della zona ZTL praticamente a tutta l’area dentro il GRA. 

La “monnezza”, espressione fisica, tangibile e maleodorante del lento ed inesorabile degrado dei quartieri dove vivono milioni di prolet, trova il suo risvolto della medaglia nei processi di progressiva gentrificazione dei quartieri (da cui l’allargamento della ztl). La cui paventata“riqualificazione” urbanistica degli stessi, è funzionale a dare spazio alla speculazione-appropriazione edilizia nell’immediato, e riconvertire alle finalità imprenditorial-turistiche spazi e servizi cittadini nel lungo periodo, come già successo a San Lorenzo, Testaccio, Pigneto.

L’idea della “riconversione green” del tessuto urbano non solo è smentita dai miasmi della spazzatura sotto il sole, rappresentando pure un onere immediato di esborso per le tasche proletarie, ma va a delineare in prospettiva una progressiva “spinta” delle fasce prolet di vario tipo fuori dal GRA, come del resto già sta avvenendo. Altro che “città dei 15 minuti”! “La monnezza”, tanto come metafora quanto come dato di realtà sintetizza tutti i problemi del vivere da proletario: tagli ai servizi di ogni specie, precarietà, marginalità lavorativa e di vita, insalubrità della condizione di esistenza nella quale si è gettati.

La ZTL, e la “ricoversione green” a cui allude, è la risposta capitalistica ad un problema che si sostanzia nel riconvertire il tessuto urbano per massimizzare il profitto ed espellere-insediare le fasce proletarie al di là delle zone “profittevoli”.

Nel dipanarsi di questo processo le politiche “antidegrado” si sostanziano nel crescente controllo manu militari dei quartieri e nelle politiche di irrigimentazione/repressione a vari livelli e aspetti della gioventù. 

Ridisegnare il tessuto sociale urbano e aumentare i livelli di controllo e repressione sono esigenze strategiche per tentare di contenere e governare preventivamente le contraddizioni che provengono dal tessuto sociale piagato dalla crisi (Francia docet), anche e soprattutto al fine di indirizzare, formare ed utilizzare quote di questa gioventù prolet ai fini del suo utilizzo capitalistico e di uno sfruttamento sempre più intensivo. 

La metropoli imperialista, nel suo trasformarsi e prendere corpo, mette in chiaro i processi di ristrutturazione economico-sociali e le linee di demarcazione di classe. 

Come compagni del Laboratorio Internazionalista crediamo fondamentale mettere al centro del dibattito queste questioni sia perchè riteniamo che siano espressione di aspetti che hanno ricadute importanti sulla vita di centinaia di migliaia di prolet a partire dal generale processo di ristrutturazione economico-sociale, politico e di potere che accompagna le relazioni fra le classi dentro la crisi capitalistica e le inesorabili pressioni che quest’ultima esercita a tutti i livelli; sia perché intorno a questi piccoli, ma neanche tanto, elementi si sono dati in varia forma espressioni di resistenza e opposizione. Sta a noi, per quanto ci compete e possiamo, immettere questi elementi nel dibattito sui vari argomenti. Un lavoro in progress rispetto al quale speriamo di avvalerci di ulteriori contributi, anche di elementi esterni alla nostra ristretta cerchia organizzata. 

Il problema della “monnezza” come pietra angolare delle contraddizioni

La questione dei rifiuti e del loro smaltimento è strettamente collegato a quello più generale dell’inquinamento e dell’avvelenamento delle falde acquifere e dei territori e dell’aria delle metropoli, fino ai cambiamenti climatici sempre più estremi. Un fenomeno che può essere letto, compreso e combattuto solamente inserendolo all’interno del sistema reale nel quale si produce: il modo di produzione capitalista.

Nel capitalismo il fine ultimo della produzione è il profitto e questo si realizza attraverso la produzione di merci. La produzione di merci per il mercato è il motore che fonda l’intera società nella quale viviamo e i rifiuti (scorie, CO2, plastiche, liquami, batterie esauste, etc) non sono altro che quello che rimane una volta che il ciclo “produzione-distribuzione-consumo-realizzazione del profitto” si è esaurito. Cosa fare degli scarti finali del ciclo? Questo il problema per come viene posto dall’ideologia dominante. 

Perché la produzione crea scorie tanto nocive per l’uomo e l’ambiente e perché non si interviene in maniera sistemica per azzerare l’avvelenamento delle popolazioni e dell’ambiente? Questo il problema per come andrebbe realmente posto.

Prima dell’era industriale gli scarti del processo produttivo venivano semplicemente riassorbiti dall’ambiente perché biodegradabili. Con l’era industriale iniziano una serie di produzioni, delle quali la plastica è forse quella più emblematica, che hanno dato luogo al problema della spazzatura e dell’inquinamento per come lo conosciamo oggi. Perché i rifiuti prima ancora di dover essere smaltiti vengono prodotti e tanto più si allarga la base produttiva e la gamma delle merci offerte da un mercato che per essere “sano” deve essere in continua espansione, tanto maggiore è la massa di rifiuti non biodegradabili che dovrebbero essere smaltiti e che invece vanno ad accumularsi nell’atmosfera, nei fiumi, nei mari e sulle terre del nostro pianeta. 

Si tratta di rifiuti industriali e di rifiuti solidi urbani, su questi ultimi vogliamo qui concentrare la nostra attenzione prendendo la città di Roma che rappresenta un esempio estremo di come il sistema non riesca a venire a capo delle sue contraddizioni in tale settore se non: 1) rimandando i problemi che nel frattempo si aggravano; 2) scaricando gli stessi sui prolet; 3) avviando ristrutturazioni sociali e produttive che hanno il solo scopo di salvaguardare e sviluppare la produzione di profitto nonostante le differenti crisi che, di volta in volta, investono il sistema nel suo complesso e sempre a discapito delle popolazioni e dell’ambiente in generale.

Lo scarica-barile

Rimandare i problemi significa semplicemente non farsene carico, far finta di nulla, lasciare ai posteri il compito di cercare di governare contraddizioni che nel tempo si fanno via via più stridenti, mentre si continua a macinar profitti. Il teatrino della politica romana brilla in maniera esemplare in questo firmamento. 

Ai tempi di Virginia Raggi si accusavano di boicottaggio e sabotaggio i cittadini romani. Oggi che sindaco è Gualtieri la storia dei rifiuti si ripete, per la seconda estate di seguito. Questa estate la spazzatura è rimasta per settimane ad accumularsi nei cassonetti senza che nessuno la prelevasse. 

Tra maggio 2022 e maggio 2023 le denunce da parte dei cittadini circa questo disagio hanno superato le centomila e sono in aumento rispetto all’anno precedente. Come ha affrontato il problema il Comune? 

Scaricandolo sui prolet

Per quanto riguarda gli operatori ecologici la toppa è stata il ricorso agli straordinari domenicali dei lavoratori AMA e l’utilizzo di mezzi in affitto, segnale di quanto la municipalizzata sia non solo inadeguata a gestire il problema, ma piegata a logiche che molto hanno a che fare con gli interessi privati e poco con il benessere collettivo. Inoltre è bene ricordare che i servizi di manutenzione sono stati nel tempo esternalizzati a officine private mentre quelle interne non lavorano quasi più. Così le montagne di monnezza sono cresciute a vista d’occhio sotto il caldo cocente, mentre i lavoratori erano costretti ad affrontare l’emergenza senza mezzi adeguati: nel luglio dello scorso anno i lavoratori AMA denunciavano di dover fare la raccolta dei rifiuti a mano! Gli stessi lavoratori sono costretti a lavorare anche nelle ore più calde, a ritmi serrati, respirando i fumi nauseabondi dei rifiuti marci sotto il sole mentre, a causa della storica logica clientelare con la quale sono state fatte negli anni le assunzioni, i lavoratori operativi sono, di fatto, costantemente sotto organico.

Ma anche per quanto riguarda la popolazione, i settori sociali sui quali ricade il disagio maggiore sono quelli prolet che abitano le periferie: buoni come forza-lavoro a basso costo, ma non meritevoli di un esistenza degna di tale nome. Episodi di cassonetti rovesciati e dati alle fiamme si sono registrati in diverse periferie (Laurentino 38, Tor Bella Monaca, Casetta Mattei per citarne alcune), espressione immediata dell’esasperazione quotidiana.

È evidente che se in molti si stracciano le vesti contro il degrado e per la sicurezza… la sicurezza sanitaria di chi lavora allo smaltimento dei rifiuti e di chi vive nelle periferie non fa testo ed è argomento sul quale non ci si deve soffermare più che tanto. 

Il problema dei rifiuti è figlio della ristrutturazione capitalista…

Al fine di favorire i profitti dei privati, messi in discussione dall’avanzare della crisi, si è scelta la via della esternalizzazione dei servizi a terzi, che riduceva i costi (i lavoratori terziarizzati possono essere licenziati tranquillamente non essendo dipendenti comunali) e favoriva i profitti (i minori vincoli e controlli ai quali sono sottoposte le terziarizzate favoriscono le pratiche illegali volte a incrementare i profitti). I decenni trascorsi nel nome delle privatizzazioni stanno dando ora i loro frutti malati. Chi gestisce gli impianti di smaltimento privati (vedi Cerroni) non ha nessun interesse a investire per ammodernarli e questi sono ora vetusti e al collasso, è in gioco infatti non la razionale gestione del problema ma un malato coacervo di interessi privati che si insinuano fin dentro il mondo dei rifiuti. 

Ora che il problema è arrivato al parossismo, mentre si spingono sempre più i prolet oltre il GRA, si può forse aprire una nuova fase, quella degli inceneritori. Sia chiaro, gli inceneritori potrebbero anche essere in sé un modo per tamponare ulteriormente il problema, ma 1) anche gli inceneritori migliori e più avanzati producono tonnellate di ceneri e scorie/filtri il cui smaltimento è estremamente inquinante; 2) considerando la malagestione clientelare che è caratteristica della formazione sociale capitalista del centro/sud Italia più che al nord (forse) nessuno si fida di chi dovrebbe costruire/mantenere/monitorare questi inceneritori, i cui disfunzionamenti avrebbero effetti ancor più devastanti su popolazioni e territori.

… e la spinge a nuovi livelli

È tuttavia possibile che la via degli inceneritori sia inevitabile e allora questa verrà imboccata per realizzare nuovi investimenti e profitti faraonici, ma accompagnati da nuove legislazioni e politiche di gestione dei territori volte a stroncare le popolazioni che dovessero ribellarsi tanto alle condizioni alle quali sono costretti tanto alla loro continua espulsione verso periferie sempre più esterne. Un processo che riporta il problema della normalizzazione capitalista su di un piano ancora più avanzato: quello del crescente controllo e militarizzazione dei territori, di un disciplinamento sempre più ferreo della forza lavoro… mentre la produzione di rifiuti continua in maniera massiva, almeno fino a che l’economia è in relativa salute (che caratteristico paradosso!).

Emergenza rifiuti!

Ecco che il paradigma dell’emergenza, in nome della quale tutto è dovuto, torna a dare i suoi frutti nell’ottica della gestione delle popolazioni e dei territori, innanzitutto e sempre contro gli sfruttati. Davanti all’emergenza ogni mediazione e visione alternativa salta, tutti devono fare un passo indietro in favore del “bene comune”, magari rappresentato dal Commissario di turno, senza troppo interrogarsi sui reali motivi che all’emergenza hanno condotto, sulle responsabilità complessive del sistema e sul fatto che a pagare siano sempre e solo i prolet.

Superare la monnezza capitalista

Per questi motivi traiamo dal problema dei rifiuti la necessaria parola d’ordine: superare la monnezza capitalista! E nelle battaglie, se battaglie ci saranno, contro queste contraddizioni saremo presenti per porre al centro del discorso questa visione, ossia la necessità di un’alternativa di sistema, un’alternativa che può nascere solo ed esclusivamente dal collocarsi sul piano della prospettiva rivoluzionaria di chi le contraddizioni le subisce in prima persona, perché abita le periferie e perché lavora nel settore. 

Le soluzioni esistono: dalla drastica riduzione della produzione di rifiuti, alla piena differenziazione, alla circolarità del ciclo dei materiali impiegati, sono solo alcuni esempi, ma queste misure, che fanno parte del programma rivoluzionario, e sono solo chiacchiere elettoralistiche se proferite dal politicante di turno, possono essere pienamente realizzate solamente superando per via rivoluzionaria la produzione per il profitto e avviando un mondo nuovo fondato sulla produzione per il soddisfacimento dei bisogni umani, in armonia con la natura e l’ambiente.

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2 risposte a “Monnezza capitalista”

  1. Analisi e prospettive pienamente condivisibili presentate con semplicità e buon senso che risciano però di lasciare il tempo che trovano, un po’ come questo commento.
    R. M.

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  2. Gli inceneritori non sono in nessun caso una buona soluzione perché frutto di questo sistema di produzione demenziale e violento. Oltre alle periferie ci sono le province, dove i vari Cerroni collocano le loro mega discariche, solitamente in ex cave dove la falda acquifera profonda e’ stata resa superficiale e o scoperta.
    Un caro saluto
    Jonas

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