LA MEGLIO GIOVENTU


IL PROLETARIATO GIOVANILE FRA POLITICHE EMERGENZIALI, IRREGIMENTAZIONE SOCIALE E VAMPIRISMO CAPITALISTICO

Un nuovo interesse dello Stato verso i giovani?

Quando guardiamo alla gioventù, guardiamo ovviamente alla nostra classe, a quella degli sfruttati e al rapporto che intercorre fra questa e quella attualmente dominante: la borghesia.

È in questa collocazione che trova senso, nel suo esatto ruolo, la gioventù e sopratutto trova senso l’attuale “rinnovata” ed interessata attenzione della borghesia verso le fasce di proletariato giovanile.

Questo interesse si sta manifestando con i differenti provvedimenti “sui giovani” che stanno prendendo piede nell’ultimo periodo: da quelli più espressamente “socialmente emergenziali” di ordine pubblico, a quelli di disciplinamento ed indirizzo degli ambiti di vita e scolastici, di formazione, volti a favorire nuove forme di sfruttamento.

Non che tutto ciò sia una novità in senso assoluto. Se guardiamo indietro vediamo come questi processi abbiano accompagnato passo passo la crisi del capitale dentro rapporti di forza favorevoli alla classe dominante .

Emergenza criminalità giovanile!

Oggi le norme poliziesche sulla cosiddetta “emergenza della criminalità giovanile”; i frequenti e spettacolari interventi di “legge e ordine” nei quartieri proletari; la criminalizzazione delle famiglie dei minori (sull’esempio della legislazione francese varata durante le ultime rivolte delle banlieue), si propongono di essere l’elemento di intervento rispetto a tutto il quadro di problemi ed effetti che dalla crisi e dalle politiche della borghesia si ripercuotono negli aspetti di vita e sociali della nostra classe, volendone di fatto perpetuare la condizione di subalternità e miseria.

Anche in questo caso, con buona pace dei sinceri democratici, la politica delle “emergenze” si qualifica come punto di forza dal quale dispiegare le politiche di pacificazione sociale e le misure di ristrutturazione economico-sociale nei rapporti di sfruttamento e dominio, per le esigenze del capitale, fuori e contro gli interessi prolet.

In ciò bisogna tenere in considerazione l’estrema attenzione della classe dominante verso i fattori che maturano nella lotta di classe. Le vicende americane, come quelle francesi, rappresentano insegnamenti dai quali non si può prescindere. Se le ricette messe in campo per molti versi non sono dissimili, un’attenzione particolare va riferita ai più giovani. Rompendo il quadro di fittizia “pace sociale” francese “Les petits” sono stati i protagonisti delle ultime rivolte. Tutto ciò non appartiene ad un mondo lontano e separato da noi, ma sono le forme nelle quali si sta esprimendo il conflitto di classe oggi e di questo ne è consapevole la borghesia e dovrebbe esserne consapevole anche chi alla difesa degli interessi di classe prolet si richiama.

Per tali considerazioni a poco vale urlare al carattere “fascista” di questi provvedimenti solo perché attuati dal Governo Meloni. Certo, tali provvedimenti sono marcati dall’impronta e dalle retoriche delle forze politiche dominanti, ma hanno una loro radice ben salda nelle misure messe in cantiere dai precedenti governi, proprio perché la loro natura risponde ad un indirizzo complessivo che fa riferimento alle esigenze di controllo e intensificazione dello sfruttamento prolet da parte della borghesia dominante.

Urge sangue fresco!

Dentro i provvedimenti “rivolti alla gioventù” è evidente come per il capitale si ponga l’esigenza di un salto di qualità nell’utilizzo della forza-lavoro giovanile. Da qui prende forma un disegno complessivo di intervento nelle contraddizioni del tessuto sociale.,Per conseguire questo obiettivo vengono poste in essere le trasformazioni necessarie: si parte dalla scuola che deve assolvere, come sempre, la sua funzione principe di “formazione” di una forza-lavoro adeguata ed addomesticata alle esigenze del ciclo capitalistico.

Il salto di qualità in essere è immerso e motivato dalla profondità della crisi capitalistica. L’attacco si è generalizzato a tutto il prolet e ha visto avanzare i processi di ristrutturazione produttiva; l’ulteriore spinta all ’abbassamento del valore del salario; la contrazione di ogni forma di tutela. L’obiettivo è avere lavoratori super sfruttati, a poco costo, dentro i vincoli legali, e non al di fuori di essi.

In questo disegno le fasce di gioventù proletaria non vanno solo e semplicemente lasciate alla loro condizione miserrima (un quarto dei giovani italiani tra i 15 e i 30 anni non studia e non lavora) e per questo potenzialmente pericolosa. Accanto al tallone di ferro delle misure poliziesche c’è bisogno di un inquadramento e di un irregimentazione, per quanto possibile e il più possibile, nel ruolo di forza-lavoro disponibile per il sistema produttivo. Una prospettiva apertamente rivendicata dai nostri governanti e applaudita dai nostri padroni.

Non è che i giovani proletari non conoscano lo sfruttamento che è proprio della loro condizione. Piccoli lavori spesso in nero alternati da lunghi periodi di inattività a cui si affiancano le forme più disparate di possibili guadagni, lavori informali che sfumano la frontiera fra lavoro e “non” lavoro sono all’ordine del giorno, con salari che oscillano tra i 600 e gli 800 euro al mese, spesso bene che vada.

Accanto a questa realtà si affianca quella “istituzionalizzata” dell’alternanza scuola-lavoro che coinvolge in maniera diversificata la realtà studentesca da oramai quasi un decennio. Un meccanismo nato e sviluppatosi per far sempre più corrispondere la scuola alle esigenze di impresa.

Verso i nuovi livelli dello sfruttamento giovanile

Oggi per i padroni si tratta, almeno nelle intenzioni e nei progetti messi in campo, di operare un ulteriore passaggio nella razionalizzazione di queste realtà. Si va verso l’incanalamento delle forme del lavoro più o meno informale dei giovani proletari dentro una dimensione legalmente riconosciuta e funzionale al capitale, che ne esalti il valore “formativo” per le esigenze d’impresa. Centrale quindi diviene la sistematizzazione a tal fine dell’assetto scolastico e del sistema dell’alternanza scuola-lavoro.

Centrale è l’istituzionalizzazione della filiera tecnologico-professionale nella scuola.

Oggi l’istruzione tecnica e professionale diventa finalmente un canale di serie A, in grado di garantire agli studenti una formazione che valorizzi i talenti e le potenzialità di ognuno e sia spendibile nel mondo del lavoro, garantendo competitività al nostro sistema produttivo” gongola tronfio il Ministro Valditara presentando a settembre la riforma dell’istruzione tecnico-professionale.

Si ratifica così un doppio binario per l’accesso all’istruzione superiore. La filiera tecnico-professionale è espressamente riferita ai giovani proletari. Anzi, per certi versi ne diviene lo sbocco obbligato per condizione sociale obiettiva e per imposizione legislativa. Si sancisce nero su bianco ciò che in larga parte è stato sempre de facto, ovvero un processo di differenziazione del percorso scolastico in base all’estrazione sociale, differentemente da quello unitario formalmente riconosciuto in precedenza. Con la differenziazione marcata dei percorsi scolastici, la natura e l’assetto che assume la filiera della scuola tecnico-professionale al servizio delle esigenze d’impresa, con la partecipazione diretta ed auspicata di docenti provenienti dalle aziende, si va a strutturare la vera essenza della SCUOLA DEI PADRONI.

Il ritorno dell’ autorità nella scuola con la “revisione della valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti” che fa parte del medesimo disegno di legge diviene il complemento e l’elemento di governo di questi processi.

Lo studente-lavoratore e le lotte studentesche.

Con l’alternanza scuola-lavoro si è riaffacciata, seppur timidamente ed in maniera sfumata una nuova figura, quella dello studente-lavoratore.

Nel corso del tempo le diverse mobilitazioni studentesche hanno trovato il loro punto di svolta nel misurarsi materialmente sul terreno dell’alternanza scuola-lavoro. Nell’anno passato la morte in un breve lasso di tempo di tre studenti in alternanza (PCTO) ha costituito la scintilla che ha dato il via ad un ciclo di mobilitazioni contro i PCTO e più in generale contro le trasformazioni della scuola in questa direzione.

Superando le tematiche classiche dello stantio rivendicazionismo studentesco, la mobilitazione ha colto con chiarezza in Confindustria, nel fronte padronale e nei vari governi i responsabili della situazione. Al centro l’istintiva battaglia contro la logica dello sfruttamento, dell’uso dello studente come forza-lavoro gratuita e delle pessime condizioni di lavoro che accomunano studente “in formazione” e operaio.

Pur se su un terreno di difesa si è così centrato il problema della propria condizione e la si è messa in connessione con la condizione operaia e la realtà di sfruttamento che si vive. Nessuna forza sindacale o politica si è fatta carico di queste istanze, e non poteva essere diversamente.

E le risposte di fatto della borghesia

Dalla classe dirigente nessuna risposta poteva arrivare se non quella repressiva contro le mobilitazioni nell’immediato e di rilancio in avanti dei propri progetti. Del resto le morti sul lavoro (ormai in costante aumento) costituiscono la realtà immodificabile di questo sistema anche quando raggiungono cifre iperboliche causate dai metodi e dai ritmi dello sfruttamento sempre crescenti. Più sfruttamento e meno sicurezza sul lavoro: questo è uno dei regali che questo sistema da in dote ai giovani proletari.

Del resto la gioventù viene vista solo come “RISORSA STRATEGICA” per il capitale, e in quanto tale deve essere piegata alle sue esigenze. Bisogna sempre più estrarre plusvalore a basso costo, dove e se possibile anche gratuitamente, bisogna fin da subito legare la vita dei giovani prolet alla catena del lavoro salariato – chiamandola elegantemente “formazione continua” -, bisogna strutturare ed imporre questa dimensione come l’unica possibile ed inevitabile. La stessa condizione di “miseria” deve diventare una risorsa per il capitale, con le buone o le cattive. La “promessa” di un lavoro futuro sarà lo specchio di realtà che già i giovani proletari, ma anche i meno giovani, conoscono bene: spendere le “competenze” acquisite come capitale umano flessibile al servizio d’impresa, vivacchiare nell’esercito industriale di riserva (una condizione costante di precarietà lavorativa, sottosalario e supersfruttamento). Ciò è quello che viene offerto – e anticipato in forme estreme nella stessa alternanza – come emerso dalle vicenda delle studentesse costrette a fare massaggi erotici in un centro benessere accreditato come “centro di formazione”.

E il clima di guerra che avanza

Accanto a tutto ciò, se non bastasse, c’è l’offerta generosa della prospettiva prossima ventura di offrirsi come “carne da cannone” per le guerre del capitale. La pervasività dei protocolli di cooperazione fra scuola e forze armate va avanti a ritmo battente e la logica di guerra permea anche i processi di formazione. Viviamo in una situazione dove i processi di riarmo e la guerra segnano le tappe avanzate della fase di crisi del capitalismo in ogni angolo del mondo, e si rovesciano su miliardi di persone.

Repressione è civiltà!

Se questo è il quadro complessivo, è altrettanto chiaro che ogni forma di conflittualità deve essere prevenuta, controllata e bandita. Così nei territori metropolitani, così nelle scuole intese come centri di aggregazione giovanile. A tal riguardo tutto l’impianto sanzionatorio che accompagna i processi di ristrutturazione della scuola ha questo scopo prioritario, seppur mistificato sotto “mentite spoglie”. In particolare il quadro di guerra per la sua fondamentale importanza costituisce un banco di prova di tutto ciò .

Le recenti esternazioni del Ministero dell’Istruzione sulla necessità di perseguire penalmente, e attivare le scuole come centrali operative in tal senso, sia singoli studenti che collettivi studenteschi per le proprie posizioni in contrasto con la collocazione internazionale dell’Italia sul conflitto ultimo israelo-palestinese da il senso concreto di ciò che affermiamo. Chiara è la volontà della borghesia affinchè si spalmino socialmente le “logiche di guerra” che guidano la sua azione e a ciò deve corrispondere il massimo di tenuta del “fronte interno”: contro ogni elemento di conflitto va rovesciata la massima forza di pressione e pacificazione forzata. Siamo entrati in una nuova fase da cui non si può prescindere.

Quali nodi?

Come sempre i processi che il capitale rovescia sulla classe prolet portano ad un profondo mutamento della situazione precedente, sebbene non nelle linee fondamentali del rapporto fra capitale e lavoro – borghesia e prolet – che segnano i caratteri essenziali della società capitalista. Ciò che muta è la condizione in cui questo rapporto si sviluppa. L’analisi di questi processi, di queste tendenze che abbiamo provato ad abbozzare nel loro significato generale ma che ancora devono evidenziarsi pienamente nelle ricadute concrete sulla situazione della classe, ci interessano per puntualizzare comunque alcune questioni che la realtà ci pone di fronte.

Sicuramente si tratterà di ricomporre le forme di coscienza e di resistenza in nuovo modo. Soprattutto per i giovani proletari legati alla scuola-azienda si porrà sempre meno una “questione studentesca” classica per invece avvicinare la propria condizione a quella più generale degli sfruttati. Le mobilitazioni dell’altr’anno hanno posto questo nodo. Bisogna saperlo riportare alla situazione che verrà. Ma bisogna essere altrettanto chiari: il “NO ALLA SCUOLA DEI PADRONI” non è il ritorno alla “SCUOLA DEI SAPERI”, che è l’approccio riformista. L’epoca “dell’anche l’operaio vuole il figlio dottore”, come diceva la vecchia canzone, è finita da un pezzo e chi l’ha sepolta è stata la borghesia. Ai giovani prolet che vivono il territorio metropolitano e al contempo il lavoro mistificato della “formazione” scolastica si pone il nodo di come ricomporre il più possibile un’unità di intenti con le altre figure prolet. Così come il disporsi contro la costruzione e il dispiegarsi delle logiche di guerra nella propria dimensione e in quella generale degli sfruttati.

Si tratta come sempre di costruire e organizzare l’alternativa a questo sistema di sfruttamento e guerra a partire dalle esperienze concrete della nostra classe.


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