
1. La “rivolta” francese, al di la del suo significato particolare, svela la reale natura del capitalismo e delle sue leggi, polarizza interessi di classe contrapposti, e indica i problemi che si trova ad affrontare tutto il movimento di classe.
La rivolta dei giovani delle banlieue mette in scena, in Francia, il terzo tempo dello scontro di classe che si è dipanato in maniera manifesta nel corso degli ultimi anni: dopo i Gilet Jaunes che hanno occupato la scena dal 2018, per circa 2 anni, in un arco di tempo brevissimo le giovani*** della periferia hanno rapidamente preso il posto, tra il 27 giugno e i primi di luglio, del precedente ciclo di lotte e manifestazioni contro la “riforma delle pensioni” del Governo e del Presidente francesi, che a loro volta avevano attraversato il paese dal gennaio al giugno di quest’anno.
La “pace sociale” è stata di nuovo scossa. Un evento sicuramente “ non programmato”, ma altrettanto sicuramente determinato da quelle relazioni economiche, sociali, autoritarie e repressive che costituiscono l’intelaiatura su cui si regge la dimensione di massimo sfruttamento, massima precarietà di vita e lavoro, nonché di massima incertezza dell’esistenza, delle prolet delle banlieues francesi. Questi ragazzi e ragazze conoscono infatti fin troppo bene nei risvolti concreti cosa significhi nella materialità di tutti i giorni la relazione con il potere determinata dalla propria condizione sociale, condizione inaspritesi con l’aggravarsi della crisi capitalista e le sue ricadute sul terreno sociale. Una situazione che dietro agli “etnici”, strascichi del post-colonialismo francese, come dei suoi processi di “integrazione” , in realtà nasconde la precisa collocazione di queste fasce di prolet funzionalmente alle esigenze dei processi di accumulazione capitalistica. Tale collocazione si identifica in merce-lavoro a buon mercato, forza-lavoro non solo sfruttata a livello padronale ma, nella peggiore delle ipotesi, anche dalla malavita organizzata. Questa condizione alimenta anche lo scontro fra strati sociali, magari non necessariamente legati alla dicotomia sfruttati-sfruttatori, ma all’interno dello stesso campo degli sfruttati. Una dinamica che lo Stato alimenta per i propri fini di messa in concorrenza della forza-lavoro verso sempre peggiori condizioni di sfruttamento, una gestione funzionale al controllo e al disciplinamento sociale.
In questo l’esplosione della rivolta ha ribaltato la realtà corrente: conducendo significativi strati prolet a riconoscersi tutti nella stessa situazione, a confrontarsi con lo stesso nemico.
“Noi non abbiamo nulla” affermano le giovani prolet di banlieue. La rivendicazione della loro condizione, della salvaguardia delle loro vite dalla violenza del potere, la loro spontanea estraneità allo stesso, costituiscono “il programma immediato” che sentono, esprimono e su cui si muovono. Un movimento immediato e spontaneo sorto come reazione istintiva a quella che è la condizione imposta, di cui la morte di Nahel è solo l’apice, e che esprime tutti gli obbligati limiti di questa immediatezza. La forma di espressione della “rivolta” indirizzata in principal luogo contro le strutture repressive è l’espressione su cui si materializza la volontà di rottura di quella gabbia costruita intorno alle loro esistenze da quel processo autoritario che tende a plasmare ogni relazione sociale a suo uso e consumo, a reprimere ogni forma di conflitto.
2. Ogni forma di espressione prolet organizzata che supera i limiti degli interessi borghesi va ricondotta all’impotenza . Accerchiata e depotenziata affinchè nel suo possibile sviluppo non vada a pesare sui rapporti di forza generali .
Abbiamo già visto, sia ai tempi dei G-J che, anche se in misura minore, nel periodo di mobilitazione contro la “riforma delle pensioni” come il processo di relazione autoritario e repressivo si sia innalzato e sia divenuto una costante strutturale. Tanto più i tempi della crisi capitalista e i tempi della guerra imperialista vanno saldandosi nelle prospettive e nelle decisioni delle diverse frazioni della borghesia imperialista, tanto più questo assioma si palesa e si afferma: siamo dentro una nuova fase. L’autoritarismo è il compendio di questa situazione come prospettiva di governo complessiva, funzionale agli interessi borghesi e al controllo delle contraddizioni sociali. I momenti di acuto scontro sociale ne fanno emergere la reale sostanza . Un processo che coinvolge tutti i paesi imperialisti, avvalendosi anche dell’esperienza altrui.
La Francia in questo decennio ha sperimentato, per tempi e modi, forme acute di scontro sociale. In questi frangenti ha solo messo in chiaro ciò che vige nella sostanza in ogni paese imperialista: l’unica forma “conflittuale” ammessa è quella di stampo corporativo, rispettosa dei limiti imposti dalla democrazia e funzionale a produrre una costante subordinazione reale degli interessi prolet. a quelli borghesi. Gli strati e spezzoni di classe che, per quanto inconsapevolmente, si sono trovati spinti dalla crisi fin sul proscenio del contrasto di classe si sono trovati di fronte all’ineluttabilità degli interessi della borghesia dominante, in un quadro in cui i margini di mediazione sono sempre più ridotti all’osso.
Le giovani prolet di banlieue vivono quest’ordine di problemi a livello esponenziale. I tempi della “mediazione sociale” si sono erosi, le forze del potere si muovono nei quartieri prolet come truppe di occupazione in territorio nemico. L’ “ordine repubblicano” evocato nelle misure repressive del governo francese finirà per cristallizzarsi verso tutti i prolet e le forme organizzate del conflitto, anche al di fuori delle banlieu. In questa direzione soffia il vento di destra che pare abbia ripreso forza in Francia. La determinazione del “potere repubblicano” (che incarna i massimi interessi della borghesia imperialista francese) ha già fatto la sua dimostrazione di forza ella battaglia sulle pensioni e nella sua piena consapevolezza di rompere ogni espressione di conflitto, come con la recente messa fuorilegge dell’organizzazione “Sollevamento della Terra”, tra l’altro estremamente radicata e diffusa.
3. Il risveglio di classe – sotto gli effetti della crisi capitalistica e con tutta la sua contraddittorietà – pone ad ogni militante rivoluzionario il dovere di misurarsi con i processi in atto, per costruire l’alternativa rivoluzionaria a questo sistema.
Il nodo è chiaro: non esiste nessuna forma di coabitazione possibile tra le istanze borghesi e i legittimi interessi proletari che, pur nella loro immediatezza, si oppongono a tali scelte. Di fronte a ciò la legittimità di ogni interesse prolet si scontra con il monopolio della forza borghese. Questo è l’altro nodo che emerge dalle vicende francesi e che vediamo sempre più manifestarsi in maniera esplicita in tutti gli episodi del risveglio di classe a livello mondiale.Per questo non ci interessa tanto stare a discettare su tutti i limiti attuali e di prospettiva che gli eventi delle banlieue, con estrema evidenza, si portano dietro. Lo sappiamo, lo abbiamo detto e lo ripetiamo: questi limiti stanno dentro alla stessa natura del fenomeno.
Quello che ci interessa è capire cosa il ciclo di lotte in Francia, pur con tempi e strati di classe mobilitati differenti, dice tanto a noi quanto al nemico di classe. Sia in linea particolare che in generale, dentro una visione internazionalista della nostra classe, degli insegnamenti e delle sue esperienze, a maggior ragione se, con modalità spontanee, la stessa “rivolta” francese ha trovato una sua pur modesta corrispondenza in altri paesi europei. Il prolet più sfruttato e bastonato si è riconosciuto in una condizione comune, oltre i confini? I fatti francesi pongono nei fatti la necessità di andare oltre lo stesso momento di lotta e i contenuti che evoca.
4. Si impone il problema della costruzione di uno sbocco politico fondato sugli interessi di classe e internazionale. Questo è il nodo sostanziale che ci sta di fronte.
Ciò chiama in causa il ruolo dell’avanguardia. La riflessione per la comprensione del reale è utile per capire come, all’interno delle situazioni reali, si possa cercare di essere fattore agente di trasformazione verso una prospettiva rivoluzionaria; di consolidamento dentro l’eventuale rinculo sotto gli effetti della repressione; di ricollegamento con le esperienze più mature dei cicli di lotta che si sono avuti. Questo è compito dell’avanguardia. Fare una analisi di classe delle espressioni prolet è necessario e doveroso. Inquadrarne potenzialità e limiti anche, ma rimane oltre modo sterile a nostro avviso limitarsi al mero ruolo di misuratori della distanza che intercorre tra il movimento reale e una prospettiva rivoluzionaria, che del resto apparirebbe molto astratta e irrealizzabile se impostata in tal guisa, senza calarla concretamente negli eventi, senza trasformarla in indicazione politica di avanzamento e costruzione degli strumenti per l’organizzazione rivoluzionaria e lo sviluppo dell’autonomia politica di classe.
***Riteniamo che la questione di genere e di classe siano inscindibili e centrali, pertanto riguardo il plurale riferentesi tanto agli uomini quanto alle donne, non avendo trovato tra le differenti proposte avanzatesi negli anni soluzioni grammaticali soddisfacenti, abbiamo deciso di usare indifferentemente il plurale maschile o femminile come generi grammaticali non marcati (tranne che non si evinca differentemente dal contesto)***
