Roma, 24 maggio 2023: tutti i governi sono amici dei padroni.


Tutti i governi sono amici dei padroni…

… fino a che non nascerá un nuovo potere prolet, solo allora le cose cominceranno a cambiare per davvero.

***Riteniamo che la questione di genere e di classe siano inscindibili e centrali, pertanto riguardo il plurale riferentesi tanto agli uomini quanto alle donne, non avendo trovato tra le differenti proposte avanzatesi negli anni soluzioni grammaticali soddisfacenti, abbiamo deciso di usare indifferentemente il plurale maschile o femminile come generi grammaticali non marcati (tranne che non si evinca differentemente dal contesto)***

[In fondo trovi il volantino sintetico distribuito in piazza]

Liberarsi dallo sfruttamento è possibile.

Viviamo il lento ma continuo e progressivo aggravarsi di una crisi economica di portata epocale che sta investendo il mondo capitalista a livello globale. Non possiamo sapere quanto durerà questa la crisi e quando le cose inizieranno a cambiare, ma ciò di cui siamo certi è che alla fine il mondo sarà profondamente differente da come lo abbiamo conosciuto.

Quello che nel nostro piccolo possiamo fare oggi è diffondere nelle diverse situazioni, come il corteo odierno contro le politiche governative, un punto di vista autenticamente di classe attorno al quale cercare di sviluppare un confronto con le più sincere avanguardie rivoluzionarie presenti sulla piazza. Perché il problema centrale oggi non è cambiare governo, ma cambiare sistema. Procediamo quindi per punti relativi ai differenti problemi in campo, orientandoci a definire alcune acquisizioni di base attorno alle quali sviluppare l’analisi della realtà e le proposte concrete.

Nella crisi, mentre i padroni si arricchiscono sempre più, a pagare sono sempre i prolet: è il capitalismo

Tutti i dati a disposizione relativamente al periodo apertosi con la crisi del 2008 mostrano come a livello globale ad essersi arricchiti sempre di più sono stati i padroni – e tra di essi più erano grandi più si arricchivano – mentre ad essersi impoveriti sono stati le lavoratorici dipendenti, precarie e disoccupate (i prolet) e il ceto medio. La crisi capitalista è insomma un fattore che produce intensa polarizzazione nella distribuzione della ricchezza nella piramide sociale: incrementa l’accumulazione capitalista in cima mentre la miseria prolet si diffonde alla base. Per questo ogni idea di redistribuzione del reddito è pura illusione. La forbice si è manifestata con particolare veemenza in Italia dove a partire dagli anni ‘80-‘90 si era fortemente sviluppato un ceto medio diventato politicamente predominante rispetto alla classe operaia degli anni ‘50/‘60/‘70. Negli ultimi 15 anni questo ceto medio è andato sempre più in crisi. Il COVID gli ha dato una mazzata ulteriore. Risultato? Diffusa disillusione politica nei ceti medio-bassi, che votano sempre meno, e altrettanto forte orientamento verso la destra sovranista, nell’illusoria speranza che si possa salvare qualche privilegio residuo. La verità è un’altra. 

Sempre, e a maggior ragione nei periodi di crisi, le scelte dei Governi – qulunque e dovunque essi siano –  sono dati dal confronto con le esigenze del grande capitale a livello internazionale tanto a livello economico che nel confronto inter-imperialista. Se il Governo Meloni cerca di offrire qualche spicciolo al ceto medio che l’ha votato (riforma fiscale, della giustizia…) al contempo non può che scagliarsi contro le prolet (riforma del lavoro) aumentando la precarietà e barattando un pugno di euro in busta paga con il taglio dei servizi pubblici, ritmi di lavoro sempre più alti, come testimonia la stabile media di oltre due morti sul lavoro al giorno, e precarietà in aumento, specie tra le giovani. Intanto le famiglie più importanti del Paese continuano ad arricchirsi ogni anno di più.

Questa crisi economica continuerà ad aggravarsi sempre più: in questo sistema non esiste prospettiva di benessere per tutti

La Meloni, anche volesse, potrebbe ben poco in una situazione globalmente compromessa. Limitandoci all’Europa e all’Euro (anche la Presidente ha capito che la populista nostalgia per la Lira è ridicola e basta) chiusasi con il COVID la fase dei “soldi facili” elargiti a piene mani dalla BCE nel periodo 2008-2021 siamo passati alla fase della lotta all’inflazione combattuta a suon di rialzi dei tassi di interesse che significano “stretta monetaria”, ossia capitali che circolano sempre meno, difficoltà ad accedere al credito, mutui alle stelle. Il ceto medio continua pertanto a cedere terreno, i prolet perdono potere d’acquisto e l’inflazione… rimane praticamente stabile. Quindi si continuano ad alzare i tassi di interesse, ma fino a quando? Fino a che, prevedibilmente, non si innescherà una nuova crisi economica tale da azzerare importanti quantità di capitale, aggravare ulteriormente la situazione prolet e ridare così un minimo di ossigeno all’economia: è solo nei fallimenti di massa propri delle crisi (come nelle devastazioni proprie delle guerre) che il capitalismo riesce a liberare spazi di crescita in un mercato altrimenti saturo. Il fallimento di alcune banche negli USA e in Svizzera ci hanno già dato dei segnali in tal senso. Ma, come dopo il 2008, anche in seguito a una nuova prevedibile recessione l’economia non si riprenderà e le medesime contraddizioni non faranno che ripresentarsi su scala più aggravata: la crisi economica si trasforma in crisi sociale innescando processi di ristrutturazione produttiva, sociale, territoriale, di isolamento, di frantumazione della classe, di crisi del ceto medio, di individualismo progressivo, che si aggravano. 

In ogni contesto di conflittualità e mobilitazione dobbiamo sempre collegare le istanze rivendicative immediate alle ragioni del cambiamento di sistema. 

Un simile quadro potrebbe anche significare decenni di lento e progressivo logoramento della condizione economico-sociale generale, senza nessuna risposta di classe significativa, o potrebbe indurre a episodi inediti. Non sappiamo e non ci interessa predire il futuro. Quello che invece ci interessa è costruire indipendenza politica di classe e di farlo alla luce delle lezioni che abbiamo tratto dai cicli di lotta passati. Abbiamo infatti visto come anche le mobilitazioni più generose sono destinate a chiudersi in sé stesse se rimangono isolate nell’angusto limite del sindacalismo. Da un lato abbiamo il sindacalismo istituzionale (CGT francese, CGIL italiana…) che ha il duplice obiettivo di voler egemonizzare le istanze più significative per fiaccarle nel tempo fino a spegnerle. Dall’altro abbiamo l’esempio del sindacalismo radicale, militante e di base (“Rank and file” in inglese) che ogni giorno di più dimostra di essere un peso e un limite per l’estensione e la generalizzazione della conflittualità di classe. Se l’intersindacale sul modello francese si è dimostrato uno strumento per svuotare di contenuto i conflitti fiaccandoli nel tempo, il microsindacalismo di base ha mostrato di essere un mezzo per isolarli e chiuderli in sé stessi, in una perenne lotta… tra sigle. Dal nostro punto di vista si tratta di partire dai problemi concreti per costruire una posizione indipendente di classe capace di legare gli interessi immediati alla costruzione di una prospettiva strategica interna alla classe. La nostra proposta deve caratterizzarsi per una rottura con gli organi sindacali ma anche per una rottura politica e di visione, nella prospettiva della necessità dell’alternativa di sistema. Quindi: 1) le lavoratrici devono creare propri organismi assembleari di base, indipendentemente dall’appartenenza sindacale o meno, per decidere quando, dove e come lottare per difendere i propri interessi; 2) questi organismi di base si devono costituire ovunque ci sia un conflitto, a livello aziendale o territoriale, in base al momento, alla situazione, al settore, ma sempre con l’intento di trovare motivi di allargamento e unione di questi organismi con altri di settori simili o differenti, la lotta è di classe e in quella direzione devono andare gli organismi che la classe stessa si da per organizzarla; 3) in tali organismi i tatticismi sindacali vanno denunciati con forza e non bisogna permettere agli opportunisti di prendere in mano il pallino della situazione; 4) i rivoluzionari devono intervenire nelle situazioni concrete per collegare direttamente la contraddizione immediata alle sue origini sistemiche e alle ragioni dell’affermazione di una alternativa complessiva di classe e anticapitalista; 5) per coagulare attorno a tale prospettiva e a tale progetto politico gli elementi più sensibili e più ricettivi in quella situazione, organizzare gli elementi passibili di orientamento attorno a quella proposta. 

Illudersi che sia possibile una alternativa democratica vuol dire legare le mani prolet mentre l’autoritarismo diventa sempre più la predominante modalità politica di gestione della crisi economica

Illudersi che attraverso i meccanismi della democrazia sia possibile avanzare un’alternativa significa essere solidali con il sistema e nemici degli interessi di classe: lo Stato è infatti il prodotto dell’antagonismo inconciliabile di classe, lo strumento con il quale al classe dominante assicura l’oppressione e lo sfruttamento della classe dei prolet. 

Ancora c’è chi si appella alla “Costituzione più bella del mondo” contro il pericolo fascista di Meloni (visto che il Berlusca non c’è più), chi la accusa di essere anti-democratica, chi propone referendum, chi va a votare… chi pensa insomma che questo sia l’unico mondo possibile e che le motivazione delle lotte possano, in ultima istanza, esprimersi attraverso il gioco ammaestrato dell’agone democratico. Permetteteci di liquidare con una battuta queste illusioni: democrazia e autoritarismo sono solo le due facce della medaglia della dittatura borghese. Legare il prolet a queste logiche false, mistificatrici e perdenti vuol dire semplicemente favorire la permanenza dello stato di cose che a parole, ma solo a parole, si proclama di voler combattere.

La tendenza verso forme di dominio sempre più autoritarie sintetizza in sé due aspetti: la crisi del vecchio assetto democratico-borghese e, in questo contenitore, l’affermazione di una “nuova” direttiva autoritaria atta a garantire sia l’esercizio del potere e l’agibilità politica della borghesia che la gestione delle contraddizioni innescate dalla crisi. Questo processo non è precipuo della destra ma investe in egual maniera la sinistra in quanto entrambe sono forze politiche di gestione degli interessi del capitale. Gli effetti nefasti di questa fase verranno infine gravemente amplificati dai sempre più intensi fenomeni atmosferici estremi che abbiamo analizzato altrove e che, come altra faccia della medaglia, insieme alle guerre e alla crisi economica, sono anche il fattore principale nel produrre gli intensi flussi migratori che premono al confine meridionale europeo, come testimonia l’ecatombe di migranti di Pylos del 14 giugno.

L’alternativa però esiste e va fatta vivere in ogni volantino, discorso, manifesto, intervento, come un aspetto concreto e realista da sviluppare situazione per situazione: è l’alternativa rivoluzionaria che denuncia la democrazia come una prospettiva borghese e vi contrappone la rivoluzione come unica via prolet.

Illudersi che uno dei due fronti imperialisti in guerra (Usa-Europa Vs Cina-Russia) sia migliore dell’altro significa legarsi agli interessi di un’area capitalista rinunciando definitivamente alla rivoluzione prolet

La guerra raccoglie e sintetizza tutte le contraddizioni che abbiamo fin qui cercato di delineare, è l’espressione più estrema e disumana del capitalismo giunto alla sua fase superiore: l’imperialismo e, al contempo, un suo amplificatore. Dall’invasione dell’Ucraina in avanti la guerra sarà sempre più un fattore che accompagnerà le nostre vite. La guerra si combatte tra due fronti dell’imperialismo, differenti ma complementari: da un lato le potenze del vecchio mondo capitalista USA e UE dall’altro la nuova potenza imperialista emergente, la Cina con l’alleato russo, attorno tutto il magmatico e vario insieme di paesi satelliti che tendono a schierarsi con l’uno o con l’altra. Ognuno che accusa gli altri di essere nemici dei popoli e dell’umanità. Negare che uno di questi due fronti sia imperialista significa negare il fatto che il capitalismo è il modo di produzione dominante nel pianeta intero. I rivoluzionari non hanno dubbi sul dove schierarsi: dalla parte degli interessi prolet, contro i capitalisti e gli imperialisti, indipendentemente dal fatto che paghino i salari delle operaie che sfruttano in Dollari o Renminbi, in Euro o in Rubli.

La rivoluzione è una necessità impellente, dotiamoci al più presto degli strumenti per realizzarla.

Viviamo tempi amari e oscuri, caratterizzati da dispersione e frammentazione, da isolamento e impotenza; la situazione economica si aggrava ogni giorno un poco di più; la crisi climatica amplifica le conseguenze nefaste – sul piano economico e ambientale – del modello di sviluppo capitalista; socialmente – e sopratutto per quanto riguarda le generazioni più giovani – assistiamo a fenomeni sempre più tristi e preoccupanti di impoverimento economico, politico, culturale; la guerra è ormai un dato di fatto dell’esistenza di tutti quanti noi. Quanto potrà andare avanti tutto questo? mesi? anni? decenni? Il problema dal nostro punto di vista è un’altro. Usare gli strumenti della riflessione e del confronto, dell’intervento e dello studio per costruire le condizioni per la tenuta e la diffusione di una forte visione rivoluzionaria che possa esprimere la sua vitalità nella classe in rapporto alle contraddizioni che si aprono nella società.

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