Alluvione in Emilia Romagna: stato di emergenza… da capitalismo


Alluvione in Emilia Romagna: stato di emergenza… da capitalismo


Il responsabile diretto di questo disastro, e degli altri nelle altre parti del mondo, è il modello di sviluppo capitalista, che incontra nei cambiamenti climatici un amplificatore delle proprie conseguenze.

L’Emilia Romagna è stata vittima di un alluvione che ha portato – oltre a disastri ambientali e danni alle infrastrutture – anche a perdite di vite umane.

Gli scenari sono stati davvero raccapriccianti, l’acqua che sommergeva interi chilometri quadrati arrivando agli ultimi piani delle abitazioni, interruzioni di elettricità e del traffico ferroviario e su gomma, ingenti danni alle colture e agli allevamenti.

Ma questa è cronaca. Quello che invece vorremmo qui denunciare è il ruolo che il sistema di produzione in cui viviamo ovvero il capitalismo, con il suo modello di sviluppo, ricopre come responsabile diretto in questo disastro.

Da subito la partitocrazia borghese ha individuato nel riscaldamento globale dovuto alle alte emissioni di CO2 la causa principale di questa calamità, come per altre. Elemento vero ma usato strumentalmente a mò di tappetino sotto cui nascondere la merda che si è stratificata nel tempo. Si vogliono così spacciare le cause della tragedia con la retorica dell’evento catastrofico imprevisto ed imprevedibile. La realtà è altra.

Quella che emerge dalle acque dell’alluvione è la portata devastante della contraddizione fra distruzione ambientale, sfruttamento del territorio e suo uso produttivistico, esasperato a fini del profitto e la necessità di uno sviluppo rispettoso degli uomini e della natura. Il processo si è espresso in mille forme attraverso i mutamenti irreversibili realizzato agli stessi assetti del territorio i cui effetti sono stati amplificati nel quadro dei mutamenti climatici indotti a livello più generale. Il combinato disposto di questi due fattori è all’origine dell’alluvione: il primo come causa scatenante, il secondo come dato moltiplicatore. 

Nessuna casualità quindi all’origine di tutto ciò. Sia a livello generale che particolare la causa risiede nel modello di sviluppo che il Capitalismo ha messo in piedi, nello sviluppo illimitato e distorto delle forze produttive a fini di profitto. Si è piegata così la natura e la condizione stessa dell’esistenza umana e del suo lavoro, della sua esistenza e riproduzione sociale, del suo rapporto con la natura e con l’habitat in generale.

Questa la questione centrale. 


Mala gestione e pratica dell’emergenza sono le forme con cui qui si esprime il potere nel far fronte alle modificazioni strutturali e sociali che il modello di sviluppo capitalista impone.

La gestione del territorio ai fini del profitto assieme alla  mancanza di manutenzione e prevenzione portano con loro il problema della tutela della salute e della vita delle comunità sociali. Per chi comanda manutenzione e prevenzione  rappresentano solo auspici costosi e quindi male realizzati, essendo la loro stessa realizzazione negata in partenza dal tipo di sviluppo e dai relativi mutamenti del territorio, sempre funzionali allo sfruttamento intensivo e alla produzione di valore capitalistico. 

Non è questo forse anche il problema dei lavoratori di Taranto, dei prolet della terra dei fuochi, e dei tanti che hanno subito disastri “ambientali” negli ultimi decenni? 

Il concetto di ’”emergenza” è la sintesi di quella “normalità” distorta che il Capitalismo produce ed elargisce all’umanità. L’“emergenza” rappresenta uno strumento per a) spingere nella direzione della ulteriore “riconversione” a fini di profitto del tessuto  produttivo e b) per imporre nuove condizioni di sfruttamento e “controllo sociale” delle classi lavoratrici. 

Non si tratta solo delle loro lotte intestine per la spartizione del potere, del malaffare, delle speculazioni e della cementificazione dei territori. Decenni di questo modello di sviluppo capitalista ci restituiscono oggi territori al collasso, insicurezza delle popolazioni e precarietà. I concetti di “emergenza” e “ricostruzione” sono in ultima istanza un’occasione utile a rimodulare ulteriormente le condizioni di vita dei prolet e delle comunità secondo le esigenze del profitto.


La sete di profitto rende secondario ogni altro aspetto, le apparenze ingannano, il modello di sviluppo capitalista non può non far violenza ai territori e alle popolazioni. Non esiste nessuna “alternativa green” o “di sinistra”. In ultima istanza l’unica legge che conta è quella del profitto. È necessaria un’alternativa.

Tutto questo non è attribuibile ad un modo sbagliato di “fare impresa”, ll capitalismo  segue la sua natura di fondo: la ricerca del profitto a qualsiasi condizione.

Non è quindi strano che nei giorni dell’alluvione, si possa rilanciare il miraggio degli investimenti nel fantomatico Ponte di Messina e decretare in Liguria la possibilità di costruire nelle aree inondabili a “minor pericolosità” (?!) e questo mette si sviluppano le misure di presunta riconversione ecologica degli assetti urbani, molto legate anche queste ai finanziamenti e alle possibilità di speculazione che si portano dietro. 

Il cosiddetto “capitalismo green” non rappresenta che una variabile da attuare nelle punte più alte di sviluppo capitalistico e spazio di investimenti in un nuovo settore. La “transizione ecologica” rimanda  ad un processo di ristrutturazione, anche sociale, più  complessivo, che però deve fare i conti con le dinamiche proprie della logiche del capitale (e della sua crisi), degli assetti e della concorrenza dei vari settori capitalistici e delle resistenze che su questo terreno incontrano.

La decadenza ambientale e dell’habitat umano è solo un ulteriore aspetto della più generale crisi e decadenza del capitalismo. Un aspetto che si intreccia in maniera indissolubile con i parossistici livelli di concorrenza interimperialista per l’accaparramento e lo sfruttamento intensivo delle materie prime ed energetiche, lo sfruttamento della forza-lavoro umana e i processi di guerra in atto, che segnano il punto focale di condensazione di tutti i fattori di crisi, nonché della prospettiva distruttiva che il capitalismo offre alla gran parte dell’umanità. 

Questo groviglio di questioni sistemiche, irrisolte ed irrisolvibili in maniera pacifica e secondo i bisogni del genere umano, pone dinanzi a tutti l’aut-aut fondamentale: o si affronta la questione dell’abbattimento del capitalismo o di fronte a noi c’è la barbarie. 


Le lotte in difesa dell’ambiente pongono il problema della loro connotazione nei termini di critica al modello di sviluppo capitalista, della loro caratterizzazione in senso classista e della loro apertura alla necessità dell’alternativa di sistema, collegando direttamente i problemi concreti immediati alla prospettiva del rovesciamento.

Negli anni 2000 le questioni ambientali, del territorio, della salute, hanno investito in vari modi e tempi diversi settori vuoi direttamente di classe, vuoi più legati ad interessi immediatamente interclassisti o di “comunità”. Ciò che abbiamo visto è che il più delle volte si sono prodotti dei movimenti reattivi alle iniziative, generali o territoriali, delle compagini borghesi.

I limiti obiettivi dati dalla composizione ed interessi di classe principali di questi movimenti ne hanno acuito i caratteri di parzialità e l’incapacità di far  nascere e sviluppare una critica complessiva al sistema capitalistico, una critica che vada oltre l’invettiva tanto generale quanto generica verso il sistema. Questo ha regolarmente permesso la ricomposizione/assorbimento di tali movimenti (con fregatura finale annessa)  dentro le tendenze democraticiste-populiste incarnate da alcune forze politiche. Ne è conseguito il relativo trascinarsi nel tempo dei veri problemi materiali.

Anche le esperienze più avanzate, come la Val Susa, hanno constatato come l’intervento di accerchiamento e logoramento da parte dell’azione repressiva dello Stato fa emergere i reali problemi con cui ogni istanza di lotta è costretta a misurarsi nel confronto con lo Stato dal momento che Questo rovescia immediatamente tutto il suo peso nello scontro stesso. Mancando una prospettiva generale spesso le esperienze rinculano su un terreno di resistenza, qui prevalgono quelle tendenze mediatrici che pongono il problema dello  sbocco politico della situazione nella prospettiva di un radicalismo riformista e si rinuncia a priori alla costruzione di una  prospettiva di  ricomposizione più complessiva della lotta con altri  settori di classe e di un suo orientamento in senso genuinamente anticapitalista.


Alla luce delle nostre passate esperienze di intervento nelle questioni ambientali sappiamo che non sarà il singolo evento in sé a far scaturire la scintilla della coscienza di classe. Oggi le avanguardie devono cogliere queste occasioni per misurare nella pratica la propria critica generale al capitalismo, per costruire ambiti di dibattito e legami politici che partendo dai problemi concreti abbraccino la critica generale del capitalismo. Per mettere al centro la critica al modello di sviluppo capitalista e la necessità del suo rovesciamento.

La nostra stessa esperienza pratica negli anni passati nelle varie esperienze e lotte territoriali su questi temi ci ha fornito un quadro complessivo della situazione, dei problemi obiettivi e soggettivi e ci ha fornito un complesso di  insegnamenti di riferimento entro cui orientarci. 

Sicuramente non è di per sé un evento o più eventi disastrosi o meno che possano costituire la scintilla per la maturazione spontanea delle contraddizioni e della coscienza di classe. 

Anzi spesso il “bisogno” è l’elemento cui piegare le istanze più radicali con “il guanto di ferro” dei tanti discorsi e con le concrete iniziative di “ricostruzione”. E’ vero che oggi più di ieri i problemi si sommano, si stringono come una ferrea catena intorno al corpo dei proletari e lo stesso stato di bisogno diventa la loro debolezza usata strumentalmente. Ma il nostro problema è pur sempre quello di costruire organizzazione rivoluzionaria e di classe, per quanto possibile all’altezza dei problemi del tempo. 

Non può quindi esistere un approccio ai problemi ambientali e alle devastazioni con cui si scontra l’umanità che sia collocato ed affrontato come problema a sé stante, avulso dal complesso della situazione che vive il proletariato in rapporto al capitalismo e ai tempi che segnano l’evolvere di crisi e guerre. Non si può nemmeno ridursi alla denuncia contingente delle politiche borghesi in materia. Tali approcci limitati e limitanti producono di fatto meccanismi di “adattamento” all’emergenza su quegli stessi terreni e soluzioni in cui la borghesia pascola tranquillamente per continuare la propria opera profittatrice e mercificando, come dicevamo, la disperazione e i bisogni delle popolazioni devastate per i propri fini. 

Non si tratta nemmeno di essere più o meno “solidali” ma di saper cogliere sul terreno della condizione reale e della propria pratica il punto di contraddizione fondamentale, per costruire a partire da questo un percorso di chiarificazione, denuncia e aggregazione dentro e oltre le stesse iniziative solidali. Altrimenti, aldilà delle buone intenzioni e del buon lavoro di sostegno, si rimane al livello del boy-scout. 

D’altra parte riteniamo, scontando e avendo a mente tutte le contraddizioni del caso particolari e generali, che lì dove possibile questi momenti siano, anche per ristretti ambiti di avanguardie, occasioni per misurare nella pratica la propria critica generale al capitalismo, costruire ambiti di dibattito e legami politici che partendo dai problemi concreti mettano al centro la critica al modello di sviluppo capitalista e la necessità del suo superamento.

Critica che oggi si fonda su un dato palese: il capitalismo è la causa, il cambiamento climatico l’amplificatore. L’’agire dell’uno nel manifestarsi dell’altro potrà solo aggravare ogni ordine di problemi. La soluzione è farsi carico dei problemi concreti da un punto di vista di classe e costruire a partire da questi l’alternativa proletaria del rovesciamento dell’ordine costituito.


Una replica a “Alluvione in Emilia Romagna: stato di emergenza… da capitalismo”

Lascia un commento